La criminalità organizzata ha assunto negli ultimi decenni proporzioni così preoccupanti che ormai una vera e propria rete di organizzazioni criminali opera normalmente oltre i confini nazionali, utilizzando sempre più sofisticati sistemi e procedure, perseguendo altissimi obiettivi economici e costituendo, così, veri e propri pericoli per i sistemi finanziari e politici dei vari Paesi.
La internazionalizzazione della mafia come quella di gran parte delle organizzazioni criminali segue in andata e in ritorno il sentiero migratorio.
Mafiosi siciliani vanno in America agli inizi del secolo, vanno ancora negli anni sessanta per fuggire alla repressione in Italia, vanno ancora oggi per conquistare nuove fette di mercato lasciate dal decadimento di Cosa Nostra Americana.
Ma ritornano pure, come Lucky Luciano, perché espulsi dal governo americano.
Canada ed Australia sono altrettante mete migratorie ed insediamenti di comunità siciliane che producono forme organizzate di criminalità con una radice etnica di chiara marca siciliana.
Lo stesso è avvenuto in Germania, dove recentemente si è acquisita la consapevolezza che nuclei di emigranti siciliani, in proprio e con una stretta relazione con le famiglie di origine, operano investimenti e costituiscono manovalanza operativa da impiegare in attività criminali in Sicilia, come nel caso dell'uccisione del giudice Livatino.
Il movimento migratorio, dunque, è stato indubbiamente uno dei fattori che hanno favorito gran parte dei tradizionali processi di internazionalizzazione della mafia siciliana.
Ma il "salto di qualità" tra la vecchia mafia dei latifondi prima e dei suoli urbani poi e quella contemporanea è avvenuto con l'ingresso massiccio di Cosa Nostra nel traffico degli stupefacenti intorno agli anni '70.
La droga si sa, si produce e si raffina in luoghi diversi lontani tra loro, e si consuma in tutto il mondo.
Da qui la necessità per Cosa Nostra di muoversi sullo scacchiere mondiale.
L'esigenza di mantenere il controllo dei mercati internazionali del crimine, nonché la necessità di sovrintendere direttamente alle attività di grande rilevanza finanziaria ed ai rapporti con altre organizzazioni criminali, costituiscono altre cause che hanno favorito l'insediamento di Cosa Nostra all'estero.
La vocazione internazionale della mafia risale, come si è detto, a vecchia data.
Già negli anni sessanta esisteva a Tunisi una "famiglia" dipendente dalla cupola di Caltanissetta; un'altra "famiglia" di Cosa Nostra era stata costituita in Venezuela, ove troppo importanti erano diventati gli investimenti dell'organizzazione per essere lasciati in mano a soggetti avulsi da qualsiasi obbligo di obbedienza e di gerarchia.
Dalle acquisizioni processuali svolte in collaborazione con polizie straniere è emerso che insediamenti mafiosi sono stati accertati negli Stati Uniti, in Brasile, in Gran Bretagna in Thailandia, nella Repubblica Dominicana, in Canada, in Svizzera, in Spagna, nella Repubblica Federale di Germania, in Australia.
Tutte queste basi, oltre a rispondere ad una moderna logica gestionale dei più importanti traffici illeciti, con particolare riguardo a quello degli stupefacenti ed al riciclaggio, sono un valido appoggio anche per l'occultamento di latitanti o per l'esecuzione di omicidi nei confronti di soggetti che hanno creduto di poter sfuggire alle sentenze di morte rifugiandosi all'estero. Taluni omicidi, strettamente connessi alle vicende della "guerra di mafia" che si svolgeva a Palermo agli inizi degli anni '80, sono stati consumati, ad esempio, nella Repubblica Federale di Germania o negli Stati Uniti.
E' un errore ricorrente quello di identificare l'attività criminale delle organizzazioni mafiose con il solo traffico di stupefacenti. I due fenomeni, seppur legati da correlazioni molto intense, non sono sovrapponibili.
Sul piano internazionale si assiste al combinarsi di altri elementi. Il traffico dell'eroina e quello della cocaina sono appannaggio non soltanto di gruppi mafiosi tradizionali, ma anche di gruppi nazionali e stranieri emergenti. La mafia compie azioni criminose sempre funzionali ai suoi obiettivi, tra cui vi è quello di dimostrare la capacità dell'organizzazione di colpire comunque e dovunque chi ostacoli i suoi disegni.
Tale fortissima carica intimidatoria - imposta all'attenzione mondiale con le stragi di Capaci e di via D'Amelio del 1992, in cui persero la vita due simboli della lotta a Cosa Nostra Falcone e Borsellino - costituisce per la mafia un patrimonio che, oltre alla tradizionale fama di efficienza e di operatività delle sue strutture, è destinato a consacrare il pieno diritto di partecipare agli accordi alle strategie, alle intese con gruppi criminali, nell'ambito del grande traffico internazionale degli stupefacenti, innanzi tutto, ma anche negli altri ambiti di opportunità criminali offerte oggi sul mercato internazionale alle grandi organizzazioni delinquenziali.
Si pensi, ad esempio, ai traffici di armi, di materiale nucleare, di oggetti di valore artistico e archeologico, di rifiuti pericolosi (scorie radioattive), di autoveicoli e automezzi pesanti rubati. con relativo carico, di bambini adottabili; di organi umani per i trapianti, di immigrati, e così via.
La internazionalizzazione del fenomeno ormai è un dato oggettivo e documentato anche dalle più recenti operazioni di polizia compiute in Italia ed all'estero.
Fu nell'isola di Aruba, ex colonia olandese nei Caraibi, a venti chilometri dalla costa Venezuelana, che la mafia siciliana e il cartello colombiano di Medellin decisero di allearsi, nell'ottobre del 1987.
Per Giovanni Falcone ciò costituì un fatto di portata dirompente e spaventosa.
I due colossi della malavita organizzata formavano una coppia che incuteva terrore, entrambi dotati di un esercito internazionale, di risorse finanziarie incommensurabili, del potere di un vero e proprio Stato.
Ciò che spaventava non era il fatto in sé, quanto il crescente convincimento che, dal 1990 in poi, tutti i grandi sindacati del crimine si stessero avvicinando gli uni agli altri: la mafia siciliana e quella americana, la mafia turca delle armi e della droga, la mafia russa, le Triadi cinesi, la Yakuza giapponese.
Pur separate da migliaia di chilometri e da secoli di storia, di tradizioni e di cultura, queste poderose organizzazioni criminali tendevano ora a coordinare l'utilizzo del proprio denaro, degli uomini e dei mercati illegali in quelle che Falcone definiva "saldature operative", una sorta di patto di non aggressione con cui si evitavano conflitti, si stabilivano strategie comuni e zone d'influenza per operare insieme, pacificamente, nell'intero pianeta.
Nello spazio di quattro o cinque anni, dopo il summit di Aruba del 1987, questo è esattamente ciò che è successo, però Falcone, dilaniato dal vile attentato in Capaci (23 maggio 1992), non è vissuto abbastanza per vedere avverate le sue previsioni.
Ad Aruba la proposta dei siciliani era quella di barattare l'eroina europea con la cocaina prodotta in Colombia.
Ciò avrebbe dato al cartello di Medellin la possibilità di entrare nel lucroso mercato americano dell'eroina, in cambio Cosa Nostra avrebbe ottenuto l'esclusiva per il mercato all'ingrosso della cocaina in Europa.
Ecco la risposta per chi pensava che la mafia fosse praticamente scomparsa, dopo la repressione giudiziaria degli anni 1984-1986, dopo i sequestri di patrimoni, di raffinerie, dopo i maxi-processo e la condanna di un migliaio di "uomini d'onore" in Sicilia e dopo il processo cosiddetto della Pizza Connection a New York.
Col monopolio di Cosa Nostra l'Europa ha raggiunto e superato l'America.
Le 40 tonnellate di cocaina che arrivavano nel 1987 si sono quintuplicate fino a toccare quota 200 nei successivi cinque anni, per un valore di dieci miliardi di dollari avuto riguardo al prezzo dello spaccio per le strade.
In breve i mafiosi siciliani avrebbero anche riciclato i proventi del traffico di cocaina in Europa non solo per sé ma anche per i colombiani. Con l'operazione "
Green Ice", la DEA, con la collaborazione della polizia di altre sette nazioni, inferse un duro colpo ad alcuni canali di riciclaggio in Europa.
Frattanto, però, altre centinaia di canali di riciclaggio erano stati creati nei paesi dell'ex blocco comunista.
La mafia siciliana era riuscita ad arrivare per prima stabilendo una collaborazione privilegiata con la mafia russa.
All'epoca, siamo già nel 1992, le autorità occidentali non erano in grado di immaginare perché un boss della mafia siciliana o americana, o qualunque altra persona sana di mente, desiderasse acquistare l'equivalente in rubli di dieci miliardi di dollari.
Nelle ex Repubbliche Sovietiche si trovavano le più grandi scorte di petrolio del mondo (80 miliardi di barili), un quarto dell'oro e delle riserve di legname del mondo, un quinto delle riserve mondiali di diamanti, il secondo più grande deposito mondiale di rame, minerali di ferro, carbone, nickel e zinco e tutta una serie di metalli rari.
Non solo, ma le ex Repubbliche Sovietiche avevano ereditato quello che una volta era il più grande esercito permanente del mondo, con le sue armi sofisticate, carri armati, missili, aerei, testate e materiali nucleari.
Tutto ciò era a disposizione di chi lo volesse prendere, in un paese prostrato, senza soldi, caotico e devastato da un alto tasso di corruzione.
Qualunque cosa era in vendita a prezzi incredibilmente bassi, ma il pagamento poteva essere effettuato in valuta locale acquistata al mercato nero per un infimo valore.
Nel 1990 si poteva comprare una tonnellata di petrolio greggio per un equivalente in rubli di cinque dollari e rivenderlo per 140 veri dollari, in Europa occidentale.
Bastava accordarsi con un collega della mafia russa o con un politico corrotto per ottenere un conto in una banca russa, una licenza per esportare, per acquistare rubli in cambio di narcodollari o dollari falsi e pagare in rubli le proprie esportazioni di materia prima e così non solo riciclare il denaro, ma uscirne con un guadagno del 400-500 per cento e talvolta del 1000 per cento.
La Russia è stato il luogo dove le grandi imprese criminali hanno scoperto quanto potessero, in regime di pax mafiosa, essere utili le une alle altre per depredare un paese tanto vasto e per realizzare il massimo dei profitti sostanzialmente senza alcun rischio.
Verso la fine del 1992 il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, originario di Caltanissetta, affermò, anche davanti alla Commissione antimafia del Parlamento italiano: "Fin dagli anni '80 Cosa Nostra appartiene al livello mondiale ... C'è un vertice, un punto di incontro per tutti ... Sediamo al tavolo mondiale con le altre organizzazioni... La commissione mondiale è sede di consultazione, ma anche di decisioni importanti ... Fino al novembre del 1991 altri sono stati in carica, poi nel corso di una riunione tenutasi da qualche parte del pianeta, hanno dato a noi la rappresentanza di tutte le organizzazioni ... Totò Riina è arrivato al comando supremo ed il mio boss, il rappresentante provinciale di Caltanissetta "Piddu" Madonia, è seduto al suo fianco".
Devo confessare che era particolarmente difficile prestar fede al suo racconto, che divenne sempre più incredibile quando poi si vide che il capo dei capi, il comandante supremo dell'ordine mondiale del crimine, arrestato nel gennaio 1993, aveva l'aria di un umile, ossequioso, impacciato contadino.
Naturalmente non era nulla del genere: chi lo ha interrogato ha compreso che recitava una parte e lo ha trovato astuto, imperioso e sottilmente arrogante.
Sulla scorta delle sole dichiarazioni di Messina, rimaste prive di riscontri, allo stato, non c'è prova che egli fosse realmente il capo di un governo criminale di portata mondiale, ma non c'è dubbio che la malavita internazionale ha raggiunto un accordo di divisione del mondo, conclusione cui era giunto anche il giudice Falcone prima di morire, come può facilmente desumersi, oltre a quanto sin qui detto dai seguenti fatti specifici e altamente significativi recentemente accertati:
- esponenti della 'ndrangheta calabrese risulta abbiano acquistato centinaia di kalashnikov nell'ex Jugoslavia, barattandoli poi con carichi di eroina, con appoggio dell'organizzazione criminale pugliese Sacra Corona Unita;
- indagini condotte in Germania e Sicilia, hanno visto implicati in traffici di armi ed esplosivi membri di clan mafiosi operanti nella provincia di Enna e di Agrigento;
- il sequestro di un ingente arsenale clandestino di matrice esogena è stato operato a carico della potente famiglia catanese di Nitto Santapaola;
- da parte di varie polizie europee è stato accertato che organizzazioni mafiose occidentali barattano rubli con narcodollari o con dollari falsi. I livelli delle transazioni sono impressionanti. In una sola di queste risulta siano stati riciclati 500 miliardi di rubli, con i quali sono stati acquistati immobili ed aziende;
- alcune famiglie mafiose dell'ex U.R.S.S. e Cosa nostra americana risulta abbiano già stabilito intese dirette a perpetrare frodi economiche, tra cui anche quelle nel settore delle carte di credito, ove risultano interessati persino gruppi criminali asiatici;
- interconnessioni e collegamenti sono stati scoperti anche tra la 'ndrangheta calabrese ed alcuni cartelli turchi interessati al traffico di eroina;
- nella Repubblica Ceca opererebbero elementi della camorra appartenenti al clan facente capo al noto Gennaro Licciardi. Risulta, inoltre, che esistono contatti tra appartenenti a detto clan ed esponenti di gruppi criminali anche di matrice russa;
- un traffico di armi tra la Croazia e l'Italia, nel quale sarebbero coinvolti esponenti della criminalità organizzata pugliese e siciliana, ha permesso di stabilire l'esistenza di rapporti tra questi e malavitosi residenti nell'ex Cecoslovacchia;
- sussistono collegamenti fra alcune imprese commerciali italiane ed Organizzazioni criminali russe sospettate di riciclare denaro proveniente da attività illecite perpetrate nella Repubblica Russa;
- nell'operazione di polizia denominata Europa I, conclusa nel 1993 dall'A.G. di Locri (RC), riguardante un gruppo mafioso di 'ndrangheta, è risultato che una società finanziaria facente capo a uno dei mafiosi, pur avendo un capitale sociale minimo, era interessata alla vendita e all'acquisto di quantitativi di miliardi di rubli e centinaia di milioni di dollari;
- nell'operazione Wall Street, conclusa dalle forze di polizia di Milano nel 1993, è emersa la tendenza a creare vere e proprie cellule della 'ndrangheta in paesi dell'est europeo, in particolare Polonia e Ungheria;
- alcuni punti di vendita di sigarette di contrabbando in Italia cominciano a disporre di pacchetti di sigarette che riportano in caratteri cirillici la denominazione del luogo di fabbricazione, segno di una relazione permanente tra gruppi mafiosi italiani che gestiscono il contrabbando e gruppi russi;
- nella periferia di Palermo sono state recentemente sequestrate ben 5 tonnellate di sigarette di contrabbando provenienti da manifatture dell'Est europeo;
- secondo l'accademico delle scienze russo Leonid Fituni, che riporta notizie provenienti dal Dipartimento di polizia contro il crimine organizzato, nell'autunno inoltrato del 1992 fu raggiunto un accordo segreto tra Cosa Nostra siciliana e gruppi criminali dell'ex Unione Sovietica, con l'intento di avviare una rete per la commercializzazione di componenti nucleari e di stupefacenti prodotti nel territorio delle ex repubbliche sovietiche. I primi contatti avvennero nel marzo e nel giugno 1991 a Varsavia e poi proseguirono a Mosca;
- analoghe notizie verrebbero dalla polizia federale cecoslovacca secondo la quale un mese prima che si creassero le due repubbliche autonome, alla fine del 1992, la mafia italiana aveva segretamente stretto un patto a Praga con bande criminali della ex Unione Sovietica,
- il senatore Nunn, nel corso di una seduta del Comitato del Senato U.S.A. dichiarò "Le autorità hanno confermato l'esistenza di tre piani per far incontrare gruppi criminali russi e italiani a Praga, Varsavia e Zurigo e nel 1993 a Berlino".
Si può aggiungere che le notizie sui rapporti tra le diverse organizzazioni mafiose italiane e quelle dell'ex Unione Sovietica si intensificano di settimana in settimana.
I danni che possono derivare alla Federazione Russa, ai paesi dell'Est europeo e a tutti gli altri paesi dell'Occidente da queste anomale "joint-ventures" sono evidenti.
Le mafie russe operano in un ambiente che si presta al massimo Sviluppa delle attività criminali; possono garantire impunità, riciclaggio di denaro, deposito per merci compromettenti, come droga ed armi, la sostanziale inesistenza di confini tra mercati illegali e mercati legali.
Le organizzazioni criminali di matrice endogena, come la mafia, per la loro secolare esperienza, costituiscono un modello vincente. Dove arriva un gruppo mafioso la criminalità locale è costretta o ad andarsene o ad assumere una posizione subalterna o a cambiare modello organizzativo uniformandosi a quello mafioso.
Perciò la criminalità organizzata russa tenderà ad assumere i connotati "militari", politici e finanziari propri della mafia italiana, che si sono rilevati i più idonei a passare dalla fase della "organizzazione criminale" a quella del "sistema criminale integrato", che è proprio del mondo criminale del prossimo futuro.
Di fronte a questa alleanza criminale planetaria, la società rispettosa delle leggi continua ad intraprendere le sue piccole guerre fratricide, a dividersi in migliaia di frammenti etnici, a cavillare sulla giurisdizione e sulla sovranità di ogni singolo Stato, a tenere in vita una moltitudine di organi di polizia che si guardano bene dal comunicarsi a vicenda i propri segreti.
A pochi anni dalla proclamazione del mercato unico i dodici stati della Comunità Europea hanno sacrificato ben poche delle loro prerogative sovrane.
Ciascuno ha le proprie leggi sull'estradizione, sul diritto di asilo, sui pedinamenti, sullo scambio delle informazioni provenienti dalla polizia e dai servizi segreti, sulla possibilità di infiltrare gli agenti, di effettuare finte spedizioni di droga, sui termini di carcerazione, sulle figure giuridiche di reato, sulla disciplina del riciclaggio sui controlli telefonici e i microfoni spia, sulla tutela delle banche dati.
Per esempio, un latitante condannato per associazione mafiosa non può essere estradato dagli altri paesi della Comunità, perché nessuno di loro comprende tale realtà nella propria legislazione.
La polizia belga non può mettere sotto controllo il telefono di nessuno né tanto meno piazzare microspie.
La legge olandese proibisce la trasmissione ad un servizio di polizia straniero di qualsiasi informazione che possa portare all'arresto di un cittadino olandese.
Un poliziotto tedesco non può inseguire un criminale al di là dei confini olandesi senza una lettera rogatoria ed al di là dei confini di qualunque altro Stato per più di dieci chilometri e soltanto con una macchina della polizia chiaramente riconoscibile. In compenso un poliziotto olandese sulla base di accordi bilaterali può attraversare l'intera Germania per dare la caccia a un criminale.
Un agente segreto francese può incastrare un trafficante di droga tramite vendite simulate, un poliziotto tedesco che si azzardi a farlo nel suo paese finirebbe in prigione.
Ci si potrebbe impiegare una vita a uniformare queste legislazioni, ma finora ben poco è stato fatto dalle miriadi di comitati internazionali all'uopo costituiti, per mettersi seppur vagamente in linea con la rapidità di mutazioni e di adattamento del mondo criminale.
I malviventi si muovono sempre più in fretta dei governi che cercano di prevenirli.
Il giorno stesso della caduta del muro di Berlino, nel 1989, già si precipitavano ad attraversare il confine per appropriarsi della maggior quantità possibile di risorse e per incontrare la mafia russa che invece si muoveva in direzione opposta verso ovest.
Le implicazioni di questo incontro sono state estremamente inquietanti per ogni nazione dentro e fuori dall'Europa, a partire dagli Stati Uniti.
Le formazioni criminali che ora incontrano i Russi infestavano l'America da anni.
I colombiani fornivano agli Stati Uniti la maggior parte della cocaina, la mafia siciliana e le Triadi cinesi l'eroina, la Yakuza giapponese nel decennio precedente aveva fatto dell'America una sede primaria d'investimento per il traffico d'armi e droga, per il riciclaggio e per il ricatto su vasta scala.
La mafia siciliana stava importando in U.S.A. migliaia di forze nuove per rinvigorire, se non sostituire, in alcune "famiglie" la vecchia generazione ancora al comando di Cosa Nostra americana.
Come se non bastasse anche la mafia russa aveva mandato in America migliaia di forze nuove che mettevano a segno ingegnose truffe da miliardi di dollari, accettando di pagare una percentuale a quattro delle cinque famiglie mafiose di New York.
Nella loro corsa verso il Pacifico le gang russe, entravano in contatto con le Triadi e la Yakuza dalla parte opposta della carta geografica, offrendo nuovi sbocchi all'eroina delle Triadi che passava verso la Cina. Frattanto bande georgiane e giapponesi rubavano autovetture giapponesi e le indirizzavano al rigoglioso mercato nero russo.
Così, Stati Uniti, Cina, Giappone ed Europa venivano chiusi nella morsa di una criminalità che stringeva in un letale abbraccio l'intero pianeta.
La criminalità organizzata aveva ottenuto il suo mondo senza frontiere.
Fra tutte le disastrose conseguenze del crollo della Russia Sovietica, questa era una delle meno evidenti e delle più insidiose.
Chi si sarebbe mai aspettato di imbattersi nel febbraio 1993 a Sverdlosk, in mezzo agli Urali, a 1.000 chilometri da Mosca, in un siciliano che insieme con un socio della mafia americana aveva aperto proprio lì una "banca Internazionale della Russia Meridionale".
A ben riflettere sui progetti dei due si possono fare solo congetture, visto che Sverdlosk è al centro del famoso complesso militare industriale che una volta equipaggiava l'armata russa, è nella regione che vanta le maggiori riserve di petrolio del Medio Oriente ed infine è la sede di una gang della mafia russa che opera in tutto il territorio ex sovietico dal Baltico al Pacifico.
Il reddito della criminalità organizzata è riconducibile a due fonti: quello delle attività illegali di produzione e la distribuzione (droghe, gioco clandestino, estorsioni, frodi CEE, per fare solo alcuni esempi) e quello delle infiltrazioni nelle attività legali (commercio, appalti, ecc.).
Attività illegali e legali sono da intendersi in un continuum. Le organizzazioni criminali agiscono contemporaneamente in ambedue i settori ed il denaro prodotto circola tra attività illegali e legali per una serie di ragioni che si possono riassumere in: massimizzazione dei benefici dell'attività criminale (finanziamento) e minimizzazione dei rischi, tra cui l'identificazione dell'organizzazione e la cattura da suoi componenti, da una parte e il sequestro delle ricchezze prodotte, dall'altra.
La repressione penale costituisce la politica prevalentemente usata in molti paesi e anche nel nostro. I suoi costi crescenti e la flessibilità delle organizzazioni criminali e quindi la loro abilità nell'evadere le leggi pongono la necessità di una maggiore attenzione a quelle politiche preventive che, complementari a quelle penali, devono essere dirette a:
- ridurre le opportunità criminali, cioè ridurre le possibilità di guadagno offerte dalle Operazioni sui mercati illegali;
- ridurre la vulnerabilità di quei mercati legali che più facilmente possono essere infiltrati dalle organizzazioni criminali.
Un pentito di primo piano, Gaspare Mutolo, spiegò alla commissione antimafia del Parlamento italiano: "Ciò che ci da più fastidio è che ci vengono tolti i soldi. Uno preferisce stare in galera con i soldi che non in libertà senza soldi questa è la cosa principale".
Il profitto, il danaro è la ragione d'essere del crimine organizzato, portarglielo via è la soluzione, trovarlo il problema.
Ad eccezione dell'Italia nessun paese è ancora riuscito a mettere le mani su qualcosa di più consistente di ciò che queste organizzazioni considererebbero fondi per piccole spese.
I paradisi fiscali esistenti nel mondo impediscono apprezzabili risultati.
Le legislazioni di paesi quali Aruba, Saint-Martin, l'Austria, la Svizzera, il Lussemburgo, il Liechtenstein, Andorra, Montecarlo, le Isole inglesi della Manica, la stessa Germania fino al 1992, le Cayman, le Seichelles Malta, l'Uruguay, Hong Kong non agevolano certo la lotta al riciclaggio.
Taluni addirittura sollecitano apertamente la clientela più equivoca in circolazione anche con inserzioni pubblicitarie.
Numerosi governi sono ora disposti a sedersi attorno ad un tavolo per negoziare modifiche legislative ed interventi. ma fino a quando saranno emanate sterili direttive comuni e dichiarazioni di intenti di improbabile attuazione l'impegno sarà insufficiente.
Il timore che si possa attuare un controllo dei conti bancari e scoprire sacche d'evasione fiscale o profitti di altri reati contro la pubblica amministrazione, finora in un certo senso tollerati, costituisce una remora che rende sostanzialmente inutilizzabile qualsiasi normativa.
Gran parte delle segnalazioni su transazioni bancarie sospette (4.000 in Gran Bretagna, 122 in Italia dal 1991 al 1993) cadono nel nulla, perché spesso nulla hanno a che fare con la droga o altri reati, ma piuttosto con l'occultamento di beni patrimoniali.
Qualsiasi cosa al mondo si stia facendo per portar via il danaro alle organizzazioni criminali non può che andare incontro, in queste condizioni, ad un fallimento totale, fatta eccezione per i Tribunali italiani che in poco tempo sono riusciti a sequestrare ai boss mafiosi beni per un valore complessivo di tre miliardi di dollari.
E' pericolosamente ingannevole, dunque, affermare che finalmente si e raggiunto il traguardo da parte della criminalità internazionale di qualificare come reato il riciclaggio di danaro, come è avvenuto nel recente Congresso Internazionale dell'ONU, svoltosi a Napoli.
Allora cosa si può fare?
Lo scenario delineato impone una seria strategia di lotta alla criminalità organizzata e di difesa degli altri principi democratici con effettive sinergie a livello internazionale.
Occorre promuovere la formulazione di indirizzi politici, in campo internazionale, diretti a:
- attenuare le differenze tra gli ordinamenti;
- scongiurare le forme di concorrenza basate sulla permissività cioè sull'adozione di discipline meno rigorose nell'azione di contrasto alla criminalità;
- promuovere la cooperazione e superare le barriere mediante la creazione di spazi giuridici e giudiziari comuni;
- prevedere sedi per incontri periodici multilaterali e costituire uffici di collegamento per la raccolta e lo smistamento di dati e notizie significative;
- prestare assistenza e collaborazione ai paesi meno attrezzati (in via di sviluppo, emergenti, ecc...) perché adottino cautele in linea con quelle degli altri paesi.
Anche se nessun governo sembra accorgersene, non bisogna essere dei profeti o degli indovini per prevedere che i collegamenti tra le varie organizzazioni criminali di statura internazionale finiranno per distruggere l'economia, per inquinare la politica e per minacciare la morale pubblica e privata.